Lo iaijutsu era l’arte di estrarre la spada e di uccidere l’avversario con un unico e fluido movimento.
Il termine iaijutsu letteralmente significava arte o tecnica (jutsu) dell’estrazione (iai). Questa disciplina venne solitamente praticata con l’utilizzo della spada classica dei samurai: la katana, oppure, in alcuni casi, con una spada creata appositamente per quest’arte: lo iaito.
Lo iaijutsu consisteva nell’esecuzione d’un solo colpo perfetto. Era un combattimento finalizzato a un unico terribile momento che seguiva un rituale di elaborati gesti con la katana, un turbinio di movimenti brevi come esplosioni, alternati a pause d’attesa composta.
A differenza del kenjutsu, generalmente lo iaijutsu veniva eseguito come esercizio individuale (tandoku renshu) e attribuiva un rilievo singolare al fatto che l’esponente poteva essere inginocchiato (seiza), accosciato (iai goshi) o in piedi (tachi waza), trovandosi dunque relativamente impreparato per il combattimento. Il bugeisha assumeva queste posizioni per poi reagire all’istante ad un assalto di un ipotetico aggressore, eseguendo uno o più colpi contemporaneamente.
Erano quattro le fasi tecniche dello iaijutsu alle quali veniva attribuito il rilievo maggiore: il nukitsuke (l’estrazione), il kiritsuke (l’azione di taglio), il chiburi (la rimozione del sangue dalla lama) e il no-to (il riporre la spada nel fodero). Ciascuna di queste fasi doveva essere effettuata con efficienza e andava sfumata in un’unità di esecuzione sulla quale prevaleva uno stato continuo di vigilanza sull’avversario (zanshin).
I kata utilizzati per apprendere questa disciplina comprendevano sistematicamente attacchi frontali, laterali, alle spalle, oltre che da qualsivoglia direzione possibile. L’essenza dell’arte stava nella rapidità fulminea e nella precisione infallibile della sua esecuzione, perché lo scopo era quello di sbaragliare l’avversario con il minor numero di colpi possibile.
Nell’arte dello iaijutsu era quindi essenziale che la katana venisse estratta con la massima velocità, sia che la si usasse per tagliare (kiri) che per colpire con il manico (tsuka ate). Precisione e potenza di esecuzione dell’estrazione, combinate con la velocità con la quale si colpiva, permettevano di affrontare un aggressore che avesse già iniziato il suo attacco.
La grazia mostrata dallo spadaccino nell’eseguire questa istantanea estrazione, caratteristica dello iaijutsu, richiedeva una profonda concentrazione durante l’esecuzione e un grado di abilità che si potevano raggiungere solo dopo innumerevoli ore di appropriato addestramento.
Gli esponenti dello iaijutsu erano tradizionalmente tenuti ad utilizzare solo una lama viva, ovvero ben affilata; infatti, senza una spada vera, era impossibile generare quell’atteggiamento mentale necessario all’arte stessa. Pertanto, se eseguita correttamente, la tecnica dello iaijutsu portava l’esponente a una distanza di una frazione di centimetro dalla lama, facendo dell’esecuzione un vero e proprio gioco con la morte, gioco che per essere effettuato con perizia andava ripetuto più volte ogni giorno.
Il termine iaijutsu letteralmente significava arte o tecnica (jutsu) dell’estrazione (iai). Questa disciplina venne solitamente praticata con l’utilizzo della spada classica dei samurai: la katana, oppure, in alcuni casi, con una spada creata appositamente per quest’arte: lo iaito.
Lo iaijutsu consisteva nell’esecuzione d’un solo colpo perfetto. Era un combattimento finalizzato a un unico terribile momento che seguiva un rituale di elaborati gesti con la katana, un turbinio di movimenti brevi come esplosioni, alternati a pause d’attesa composta.
A differenza del kenjutsu, generalmente lo iaijutsu veniva eseguito come esercizio individuale (tandoku renshu) e attribuiva un rilievo singolare al fatto che l’esponente poteva essere inginocchiato (seiza), accosciato (iai goshi) o in piedi (tachi waza), trovandosi dunque relativamente impreparato per il combattimento. Il bugeisha assumeva queste posizioni per poi reagire all’istante ad un assalto di un ipotetico aggressore, eseguendo uno o più colpi contemporaneamente.
Erano quattro le fasi tecniche dello iaijutsu alle quali veniva attribuito il rilievo maggiore: il nukitsuke (l’estrazione), il kiritsuke (l’azione di taglio), il chiburi (la rimozione del sangue dalla lama) e il no-to (il riporre la spada nel fodero). Ciascuna di queste fasi doveva essere effettuata con efficienza e andava sfumata in un’unità di esecuzione sulla quale prevaleva uno stato continuo di vigilanza sull’avversario (zanshin).
I kata utilizzati per apprendere questa disciplina comprendevano sistematicamente attacchi frontali, laterali, alle spalle, oltre che da qualsivoglia direzione possibile. L’essenza dell’arte stava nella rapidità fulminea e nella precisione infallibile della sua esecuzione, perché lo scopo era quello di sbaragliare l’avversario con il minor numero di colpi possibile.
Nell’arte dello iaijutsu era quindi essenziale che la katana venisse estratta con la massima velocità, sia che la si usasse per tagliare (kiri) che per colpire con il manico (tsuka ate). Precisione e potenza di esecuzione dell’estrazione, combinate con la velocità con la quale si colpiva, permettevano di affrontare un aggressore che avesse già iniziato il suo attacco.
La grazia mostrata dallo spadaccino nell’eseguire questa istantanea estrazione, caratteristica dello iaijutsu, richiedeva una profonda concentrazione durante l’esecuzione e un grado di abilità che si potevano raggiungere solo dopo innumerevoli ore di appropriato addestramento.
Gli esponenti dello iaijutsu erano tradizionalmente tenuti ad utilizzare solo una lama viva, ovvero ben affilata; infatti, senza una spada vera, era impossibile generare quell’atteggiamento mentale necessario all’arte stessa. Pertanto, se eseguita correttamente, la tecnica dello iaijutsu portava l’esponente a una distanza di una frazione di centimetro dalla lama, facendo dell’esecuzione un vero e proprio gioco con la morte, gioco che per essere effettuato con perizia andava ripetuto più volte ogni giorno.
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